Corte di Cassazione: non imponibilità della perdita di chance derivante da mancata assegnazione obiettivi
Con sentenza 5 maggio 2022, n. 14344, la Corte di Cassazione ha stabilito che non è imponibile il risarcimento del danno corrisposto dal datore di lavoro a seguito della mancata attivazione, prescritta dalla contrattazione collettiva, del sistema della retribuzione di risultato o per obiettivi, configurandosi la stessa come una “perdita di chance”.
Nel caso di specie, la Suprema Corte si è espressa con riguardo al caso di lavoratori dirigenti medici e veterinari a tempo indeterminato, dipendenti di una Azienda Sanitaria Locale che lamentavano la mancata attivazione del sistema premiale prescritto dal Contratto collettivo applicato.
Il giudice di merito, adito in proposito, aveva stabilito la sussistenza di un inadempimento contrattuale del datore di lavoro e il conseguente diritto dei lavoratori alla ricezione di un risarcimento a fronte del danno patito derivante dalla mancata possibilità di accedere alla corresponsione della retribuzione di risultato.
L’Agenzia delle Entrate, in sede di accertamento aveva successivamente ritenuto tali somme da ricomprendere nei redditi di lavoro dipendente con soggezione a tassazione IRPEF.
Di diverso avviso gli Ermellini che nella decisione in commento hanno ritenuto che i dipendenti abbiano subito una forma di demansionamento, con conseguente obbligo di risarcimento di un “danno da dequalificazione professionale” e cioè un danno patrimoniale derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità.
In particolare, i Giudici di Legittimità hanno ritenuto che la retribuzione di risultato non costituisce una componente retributiva fissa e stabilita “ma è soggetta, per ciascun dirigente, a determinazione annuale, da effettuarsi solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno”.
Alla luce di quanto precede, la Cassazione ha ritenuto che le somme corrisposte dal datore di lavoro debbano essere qualificate come danno emergente e non possano assumere rilievo ai fini reddituali, in quanto destinate ad un reintegro del patrimonio del dipendente.
Infatti, secondo la Suprema Corte “le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cosiddetto lucro cessante), e non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (cosiddetto danno emergente)”, precisando altresì che, in relazione alla perdita di chance di accrescimento professionale – causata dell’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti – è “irrilevante che, ai fini della determinazione del quantum debeatur, si faccia riferimento al Ccnl di un certo comparto”.
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