Corte Costituzionale: nel licenziamento economico la tutela dell’Articolo 18 agisce per l’insussistenza del fatto – incostituzionale che debba essere “manifesta”
Con sentenza 19 maggio 2022, n. 125, la Corte Costituzionale ha sancito che, ai fini della tutela reintegratoria dell’articolo 18, L. 300/1970, come modificato dalla L. 92/2012, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il giudice non è tenuto ad accertare che l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento economico sia “manifesta”.
La Corte ha osservato che la diversità dei rimedi previsti dalla legge deve sempre essere sorretta da una giustificazione plausibile e deve assicurare l’adeguatezza delle tutele riservate al lavoratore illegittimamente espulso, nelle quali la reintegrazione non costituisce «l’unico possibile paradigma attuativo» dei principi costituzionali richiamati. dagli artt. 4 e 35 della Carta, nell’attuazione dei quali è essenziale il compito del giudice, chiamato a ponderare la particolarità di ogni vicenda e a individuare di volta in volta la tutela più efficace, sulla base delle indispensabili indicazioni fornite dalla legge.
È invece onere del datore di lavoro dimostrare l’esistenza dei presupposti alla base del licenziamento, alla luce dell’art. 5 della L. 604/66 (Norme sui licenziamenti individuali), che completa e rafforza, sul versante processuale, la protezione del lavoratore contro i licenziamenti illegittimi.
Nell’ambito del licenziamento economico, il richiamo all’insussistenza del fatto vale a circoscrivere la reintegrazione ai vizi più gravi, che investono il nucleo stesso e le connotazioni salienti della scelta imprenditoriale, confluita nell’atto di recesso.
Secondo la Consulta, la previsione del carattere manifesto di una insussistenza del fatto presenta i profili di irragionevolezza intrinseca già posti in risalto nella sentenza n. 59 del 2021, che ha preso in esame il carattere meramente facoltativo della reintegrazione.
Il requisito del carattere manifesto, in quanto riferito all’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, è, anzitutto, indeterminato. Ne consegue che la scelta tra due forme di tutela profondamente diverse (reintegratoria ovvero meramente risarcitoria) è rimessa a una valutazione non ancorata a precisi punti di riferimento, tanto più necessari quando vi sono fondamentali esigenze di certezza, legate alle conseguenze che la scelta stessa determina.
Il requisito della “manifesta” insussistenza demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico.
Infatti, “la sussistenza di un fatto non si presta a controvertibili graduazioni in chiave di evidenza fenomenica, ma evoca piuttosto una alternativa netta, che l’accertamento del giudice è chiamato a sciogliere in termini positivi o negativi”.
Inoltre, osserva ancora la Corte, il presupposto in esame non ha alcuna attinenza con il disvalore del licenziamento intimato, che non è più grave, solo perché l’insussistenza del fatto può essere agevolmente accertata in giudizio.
Ne consegue che, nel far leva su un requisito indeterminato e per di più svincolato dal disvalore dell’illecito, la disposizione censurata si riflette sul processo e ne complica taluni passaggi, con un aggravio irragionevole e sproporzionato.
Alla luce di quanto precede, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, c. 7, secondo periodo, della L. 300/1970 – come modificato dall’art. 1, c. 42, lett. b), della L. 92/2012 – limitatamente alla parola «manifesta».
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